Vorrei centrare il mio intervento su un tema scomodo: quello delle RESPONSABILITA’: sia responsabilità in termini giuridici, ma anche sul “senso di responsabilità” (che ha un po’ a che fare con la responsabilità morale). Il tema della responsabilità è un aspetto estremamente rilevante per chi, come noi, affronta i pericoli della montagna e conseguentemente deve minimizzarne i rischi.
Sulle responsabilità giuridiche (civili e penali) sappiamo tutti che tanto più la società si evolve nel senso che il danno va risarcito sempre e comunque, tanto più la responsabilità su un eventuale evento nefasto (ad es. un infortunio grave) ha conseguenze pesanti per l’istruttore e per l’organizzazione chiamati a rispondere.
Il “senso di responsabilità” invece è legato al singolo e ognuno ha il suo.
Alle responsabilità degli istruttori ci dobbiamo aggiungere anche quelle degli allievi: essi non hanno responsabilità di tutela degli altri, come invece ce l’hanno gli istruttori verso gli allievi; viceversa, come detto, anche gli allievi hanno un proprio un senso di responsabilità, una propria etica e morale che vengono fuori durante il corso.
Tutto questo minestrone di responsabilità finisce nel pentolone del direttore della Scuola (che ha la responsabilità organizzativa più alta), e a scendere sugli istruttori titolati e poi quelli sezionali. Nell’ambito di un corso le responsabilità gravano maggiormente sul direttore del Corso (istruttore titolato) e a scendere sugli altri titolati e sezionali presenti.
Nell’ambito della Scuola il direttore della Scuola fa del suo meglio per disporre di istruttori capaci, adeguatamente formati, motivati a crescere. La responsabilità di cui è chiamato a rispondere si chiama in gergo responsabilità “in eligendo”, cioè egli deve garantire che gli istruttori siano all’altezza, e responsabilità “in vigliando”, cioè che gli istruttori facciano quello che devono (dal punto di vista tecnico, organizzativo ma anche dal punto divista etico (e sì, perché se ti capita ad es. un istruttore nazionale, bravissimo in montagna, ma che non è proprio quella che si dice una “brava persona”, è veramente un bel problema: si deve scegliere se privilegiare le capacità alpinistiche o preservare l’etica, con tutte le conseguenze del caso). In definitiva il direttore della Scuola fa la pasta in base alla farina che ha.
Nell’ambito del Corso il direttore del Corso fa del suo meglio per organizzare la didattica e le gite in ambiente. Siccome le gite sono in montagna e quindi presentano intrinsecamente dei pericoli, egli cerca di mantenere il rischio ad un livello accettabile. Ha quindi il suo bel da fare a gestire bollettini nivo-meteo, carte, cartine e relazioni, e tutto quello che ha a che fare con quelle meraviglie della natura che tanto ci appagano. Conosce il livello tecnico dei propri istruttori (oltre al proprio) e cerca di utilizzarli al meglio.
Ma ha anche il suo bel daffare a gestire il fattore umano.
Iniziamo dagli allievi: al corso ti capita quello che ti capita, sia come livello tecnico-fisico, sia come comportamenti; se per il livello fisico-tecnico cerchi di cavartela con la selezione iniziale, i comportamenti delle persone li scopri man mano e non sai mai quali saranno, soprattutto in caso si dovessero presentare situazioni di grande criticità. Va anche notato che è sempre più alto il rischio che ai corsi si presentino allievi (pochi per la verità, ma in questi casi ne bastano quei pochi) con valori che sono molto distanti da quelli che ti aspetteresti da chi si è iscritto a un corso del CAI e non del Jimmy Club.
Facciamo gli esempi:
ti aspetti che un allievo si iscriva per imparare e invece viene con il gusto di criticare o si comporta in modo non educato; non bada neppure ai richiami.
Ti aspetti che un allievo capisca che sei comunque un volontario del CAI che si sta mettendo a sua disposizione e invece ha solo in mente di avere comperato un pacchetto “divertimento” (a buon mercato perché magari le Guide costano di più).
Ti aspetti che in situazioni di controversia (magari per incidenti in ambiente) prevalga il buon senso e invece arriva subito la lettera dell’avvocato.
Sia ben chiaro che guidare l’allievo verso valori etici del CAI (per non dire di semplice convivenza civile) è anch’esso un aspetto didattico di cui quindi l’istruttore dovrebbe farsi volentieri carico. In soldoni: la biodiversità ci sta, ma il “pericolo allievo” impone al Direttore di minimizzarne il rischio (vediamo alla fine come).
Passiamo agli istruttori a disposizione del Direttore del corso:
anche qui c’è, grazie a Dio, la biodiversità, ma si auspica che sia più contenuta rispetto agli allievi: cioè si presuppone che l’etica e i comportamenti siano più uniformi (in linea con i valori del CAI). Ma più i valori e le opinioni si dovessero discostare più aumentano i pericoli. Al direttore il compito di minimizzarne i rischi conseguenti.
Facciamo alcuni esempi:
durante l’uscita o in fase di programmazione l’istruttore non si attiene alle disposizioni del direttore.
Oppure l’istruttore critica il direttore senza neppure provare a mettersi nei suoi panni.
E finchè non prova a mettersi nei suoi panni, il che significa che aspira a fare lui/lei un giorno il direttore del corso, possono capitare dei pericolosi corti circuiti.
Ad esempio può capitare che l’istruttore ritenga di aver tutti i diritti a dire liberamente come la pensa, non curandosi dei ruoli gerarchici degli istruttori, che il CAI ha definito. Ritiene che la gerarchia, che discende dalla necessità di gestire le grosse responsabilità che l’andare in montagna comporta, sia invece un metodo militare non condivisibile, o, peggio, fascista, a cui contrapporre una dura resistenza ideologica. Pertanto capita che l’istruttore, invece di dare una mano al direttore che ha la responsabilità del corso, talvolta addirittura gli mette i bastoni fra le ruote; e talvolta sposta il dibattito a chi è più bravo in montagna o a chi è più abile nella sofistica (che è l’arte di aver la lingua più lunga nel dimostrare una certa tesi).
Oppure c’è il caso dell’istruttore che dice che il direttore del corso ha preso troppi rischi in una certa uscita. Queste situazioni, a prescindere da chi abbia più o meno ragione, inducono comunque il direttore a riflettere se sia il caso di abbassare ulteriormente i livelli di rischio, non tanto perché non sia accettabile quello da lui valutato, ma semplicemente perché un istruttore che dichiara apertamente di non accettarlo.
Capita che l’istruttore non mantenga fede agli impegni dati riguardo le disponibilità date, costringendo il direttore ad un ulteriore impegno per chiudere il cerchio. Si tratta di un ulteriore pericolo che il direttore dovrà tenere in conto.
In definitiva ne esce che il fattore umano (allievi e istruttori) è quello che può comportare molti più’ pericoli ai fini delle responsabilità, di quanto ci si possa immaginare.
Per mantenere livelli di rischio accettabili al crescere del pericolo, si può fare solo una cosa: limitare l’azione in un gioco al ribasso: abbassare il livello delle uscite, selezionare con attenzione gli allievi (al limite fare solo inviti ai corsi), selezionare gli istruttori, ecc. Il tutto con impatti anche sulle motivazioni e quindi sulla crescita del corpo istruttori.
Ma può anche voler dire: non fare, perché non ci sono le condizioni; in questo caso le responsabilità giuridiche non ci sono, ma quelle morali investono tutti quelli coinvolti in questo gioco.
Penso che le Sezioni e la Commissione debbano fare i conti anche con questa tematica, affinchè la propria politica e i propri indirizzi siano effettivamente supportati sul campo dalle risorse necessarie a prendersi queste responsabilità.